Da capo a coach – Cosa fare se non hai i supplementari
Le parole, si sa, contengono sempre una duplice valenza: una lessicale, l’altra semantica.
La prima ne coglie il complesso delle parole, la sua origine, la sua spiegazione etimologica, la seconda ne definisce i significati che queste assumono in un preciso contesto ed ambiente; la prima coglie una dimensione statica, la seconda più dinamica, poiché, quest’ultima, aiuta a comprendere la profondità e la complessità dell’evoluzione sociale della parola stessa.
Pensiamo, per un attimo, al vocabolario manageriale; fra le parole ed i significati più ricercati troviamo oggigiorno termini come “capo”, “leader”, “manager”, “guida”, “coach”; espressioni che negli anni hanno subito evoluzioni- ed anche involuzioni allorquando utilizzate come sinonimi- ad indicare un tentativo, talvolta maldestro altre confuso, di dare una etichetta, più o meno coerente con i tempi, a chi ha il compito- spesso complesso- di guidare un gruppo aziendale verso scopi che sappiano adeguatamente coniugare “testa e cuore”, “motivazione e budget”, “coinvolgimento e bilancio”, “libera espressione ed organigrammi”, “sentimenti e procedure”.
Talvolta alcune di queste espressioni potrebbero addirittura apparire eccessive ed altisonanti se contestualizzate in una piccola impresa come la farmacia, dove spesso il confine fra bottega artigiana ed azienda, spirito amicale ed impresa, omogeneità dei ruoli e necessità di organizzarli, può risultare alquanto labile ed indefinito.
Eppure tutto questo vale anche per una piccola organizzazione laddove come la grande “deve far saper quadrare i conti per favorire utili”.
E allora, da bravi studenti, riprendiamo in mano il vocabolario.
Nella storia e nella evoluzione della farmacia individuerei tre momenti di evoluzione che hanno caratterizzato il ruolo del titolare.
Il capo
Persona che dirige, che è posta al comando di altre persone.
Un solitario, uno che decide a prescindere dall’opinione e dalla volontà altrui, uno la cui assenza o presenza è determinante per la buona riuscita del sistema.
Era il titolare di ieri, quello per il quale i collaboratori erano un po’ come i suoi figli-che però non sarebbero mai andati via di casa- e che li avrebbe condotti sicuramente alla pensione anche se- come per il magazziniere o l’addetta cosmesi- erano lì dagli anni adolescenziali.
Il leader
Di chi si colloca alla testa di una fila di persone, allo scopo di orientarle verso scopi e mete definite.
Un mix di spirito direttivo e partecipativo, di chi è chiamato a guidare, consapevole che la complessità dei caratteri e delle intenzioni di chi è guidato possa essere distraente e quindi pericolosa in tempi di complessità e turbolenza di mercato.
È il titolare di oggi, quello che consapevole della necessità di differenziarsi in un mondo fatto di iper-offerte e competitor grandiosamente virulenti, ricerca la sua identità aziendale e professionale e cerca di trasmetterla ai suoi collaboratori perché questi abbiano voglia di contribuire alla causa con coerenza e determinazione.
Il coach
Di professionista che aiuta a sviluppare la propria personalità e a riuscire nella vita, negli studî, nel campo del lavoro.
Un generatore di energie positive, un valorizzatore di talenti, uno scopritore di abilità inespresse, un convinto assertore della sinergia di gruppo, un mentore che aiuta a vincere, un modello di proattività.
È il titolare di domani- ma non di dopodomani, perché non c’è più tempo- che ha compreso che la più importante risorsa della sua organizzazione sono le persone e non i prodotti, la volontà autoderminata di crescere e non gli sconti folli, il collaboratore empatico e non lo scaffale, le mete ambiziose e non la fotocopia mal riuscita di altrui soluzioni di marketing.
È di questa figura di titolare che il mercato della farmacia ha oggi bisogno; ma il coach è un professionista, uno che questa “arte sportiva e manageriale insieme” la conosce, uno che ha acquisito metodi e tecniche per farlo, il quale, se si affida al suo fiuto, lo fa solo per potenziare metodi di crescita e selezione dei suoi uomini.
Ma il coach è tale se:
– è consapevole: se cioè non vive come conflittuale la sua diversità con i collaboratori ma è pienamente immerso nel suo ruolo con tutto il carico di responsabilità- ed anche turbolenza- che questo comporta;
– crede nelle persone molto di più di quanto queste credono in se stesse;
– è intollerante nei confronti di standard umani e professionali inadeguati stimolando verso l’eccellenza;
– forma, affianca, addestra i suoi uomini,
– favorisce momenti ed occasioni di confronto con lui e all’interno del gruppo,
– non accetta giustificazioni ma sprona il gruppo alla ricerca di soluzioni, anche creative.
– non permette che l’ambiente sia inquinato da traditori della causa, professionisti del chiacchiericcio, premi nobel dell’ipocrisia, riscaldatori seriali del banco.
Vaneggiamenti consulenziali ?
Forse, ma i coach sono tutto questo.
Si possono recuperare tanti punti di svantaggio quantI sono i minuti che mancano alla fine della partita. Un punto al minuto. Si può fare. Ma mai sanguinare davanti agli squali!
Parola di Dan Peterson, 83 anni, coach.